Che cosa intendiamo dire esattamente quando parliamo di “lusso”? È possibile definirne i contorni oppure, come altri termini appartenenti al mondo della speculazione filosofica estetica, è condannato ad essere confinato nell’area dei giudizi soggettivi?
Un parere autorevole sull’ argomento proviene dal professor Stefano Zecchi, ex ordinario di filosofia estetica presso la Statale di Milano, che nella sua opera “Il Lusso” (Mondadori), tenta di esaminare il tema evidenziando quali sono i processi estetici che trasformano oggetti comuni in beni lussuosi.
Pensando al lusso, generalmente la mente crea un collegamento alla quantità di denaro necessaria per appropriarsene, ma l’autore ci avverte di come sia insufficiente l’acquisto dell’oggetto costoso per uscire da un gusto grossolano e privo di sensibilità. La tesi di fondo di Zecchi richiama la necessità di un’educazione estetica che consenta di comprendere quali siano i canoni del gusto, del bello e dello stile e quali siano state le tappe più significative nel corso della storia dell’estetica. Ciò al fine di evitare gli abbagli e gli equivoci di un gusto ricco di gesti teatrali finalizzati esclusivamente all’esibizione di vanità e ricchezza.
L’ autore aggiunge che nell’oggetto di lusso ha parte rilevante l’artigianato d’élite che, con la propria capacità di eccellere, riesce a realizzare una straordinaria forma di comunicazione simbolica dei manufatti. Ne consegue che il linguaggio del lusso è uno “stile culturale” comprensibile a chi conosce sia le regole dell’estetica, sia la tecnica e la perizia con cui vengono realizzati oggetti che possono ambire a diventare icone. Proprio nell’alveo di queste riflessioni ho partecipato all’evento organizzato dalla maison “Hermes” presso le suggestive “OGR”, Officine Grandi Riparazioni di Torino, spazio industriale di fine ‘800 ora riconvertito a momenti culturali.
“Hermes in the Making” è una mostra itinerante ed interattiva, in cui alcuni artigiani della maison sono presenti con i loro “ferri del mestiere” e mostrano il loro savoir-faire nel lavorare i materiali più pregiati. Con la loro perizia trasformano pellami, sete e metalli preziosi in oggetti concepiti per durare, essere riparati e trasmessi come un prezioso Heritage di famiglia. Per mia deformazione professionale, fra tutti i mini-atelier disponibili mi sono concentrato sulla tecnica di stampa serigrafica con la quale vengono prodotti i famosi e iconici foulard “Carrè Hermes”. Fra le misurate spiegazioni del capo tecnico e un po’ di occhio attento è stato possibile scoprire molti aspetti fondanti di questo connubio estetico di qualità e lusso.
La serigrafia (sericum, seta e gràphein, scrivere) è una tecnica di stampa che trae le origini del suo nome dallo schermo di seta teso su un telaio su cui si delimitano delle zone ben circoscritte che permettono la permeazione della pasta colorata e quindi la tinta del foulard posto sotto il quadro serigrafico. Ogni quadro serigrafico permette la stesura di un colore e, in altre parole, dovranno essere creati tanti quadri serigrafici quanti saranno i colori che andranno a definire il disegno del foulard. Si tenga conto che la realizzazione di questi quadri è un’operazione estremamente complessa che richiede la massima precisione perché, tramite un processo di esposizione di speciali foto emulsioni alla luce ultravioletta, si definiscono le parti che “designeranno” le forme di un dato colore.
Ad ogni quadro corrisponde la sua tonalità, così i quadri vengono minuziosamente definiti e sovrapposti in sequenza fino a rappresentare il disegno finale. Da qui il progetto passa allo stampatore che dovrà scegliere tra ben 75.000 tonalità; possono occorrere anche 50 prove prima di arrivare alla paletta definitiva di colori che comporranno il disegno. In seguito, ogni foulard viene stampato rigorosamente a mano, in modo da poter agire con molta personalizzazione. Tramite una racla (una spatola dell’altezza del quadro serigrafico) i colori vengono spalmati e impressi ad uno ad uno sul twill di seta del foulard. In base alla mano e la perizia dello stampatore si potranno ottenere colori più o meno “pastosi” e densi.
Per dare un’idea della ricchezza di cromaticità di stampa, si tenga conto che in genere i foulard serigrafici sono stampati in una dozzina di colori, mentre i carreaux Hermes in media contengono 25/30 colori arrivando a 48 in una serie speciale di qualche anno fa. Non a caso il numero di colori che compongono il disegno è un fattore rilevantissimo per determinare il valore del foulard. Fondata nel 1837, la maison produsse il primo carré un secolo dopo nel 1937 e da quella data lanciò ogni anno 10 nuove fantasie per l’estate e 10 per l’inverno. Ciò significa che i collezionisti possono scegliere fra una storia di 2200 fantasie diverse di cui ognuna ha indicato il nome del disegno, la firma della maison e i diritti di copyright.
Il colore nei foulard è un aspetto fondamentale, perché quando esso è portato al collo, sparisce la forma del disegno e compare il linguaggio della cromaticità organica che deve essere estremamente sofisticata; infatti, la scelta dei volumi dei disegni e relativi colori è oggetto di una selezione accuratissima.
Ultimo dettaglio, tutti gli Hermes sono rigorosamente rifiniti a mano con un orlo di 15 millimetri su tutto il perimetro dell’accessorio e con una tecnica molto peculiare che prevede che la bordura sia realizzata rigirando il rovescio sul diritto, dettaglio che può a volte svelare le innumerevoli copie false. Questione di lusso per connoisseur.
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